Gli anni ’90 vengono considerati da più parti il periodo d’oro della Disney, tanto da essere soprannominati il Rinascimento Disneyano.
Uno
dei film più amati, ma che personalmente non sono mai riuscito a farmi piacere,
è Aladdin. Sarà che la favola del
ladruncolo che vive arrangiandosi e che si innamora ricambiato della bella
principessa, stufa del suo status sociale e che tanto invidia la libertà dei
suoi sudditi (liberi di morire di fame in una società dove sono le guardie
reali le prime a perpetrare ogni tipo di giustizia), è probabilmente un tipo di
storia più adatto ad accendere la fantasia delle femminucce che dei maschietti;
sarà che Aladdin mi ha sempre dato l’idea del ragazzo problematico, un po’ bulletto
e mezzo delinquente (e che piace proprio per questo. Le donne, valle a capire);
sarà che verso la fine, quando Jafar si trasforma prima in un serpente e poi in
un genio malefico (che riprende nell’aspetto un demone), l’ho trovato troppo
crudo per un pubblico di bambini.
Eppure
c’è qualcosa che salva questo film, qualcosa per cui vale la pena vederlo
almeno una volta. O meglio qualcuno. Mi riferisco al Genio ovviamente, e per l’esattezza
al suo, anzi ai suoi, doppiatori.
Negli
anni ’90 si è diffusa la prassi in Italia, in America già si usava, di scegliere
personaggi famosi per doppiare alcuni dei personaggi delle pellicole Disney.