sabato 28 dicembre 2013

Un genio, due artisti



Gli anni ’90 vengono considerati da più parti il periodo d’oro della Disney, tanto da essere soprannominati il Rinascimento Disneyano.

Uno dei film più amati, ma che personalmente non sono mai riuscito a farmi piacere, è Aladdin. Sarà che la favola del ladruncolo che vive arrangiandosi e che si innamora ricambiato della bella principessa, stufa del suo status sociale e che tanto invidia la libertà dei suoi sudditi (liberi di morire di fame in una società dove sono le guardie reali le prime a perpetrare ogni tipo di giustizia), è probabilmente un tipo di storia più adatto ad accendere la fantasia delle femminucce che dei maschietti; sarà che Aladdin mi ha sempre dato l’idea del ragazzo problematico, un po’ bulletto e mezzo delinquente (e che piace proprio per questo. Le donne, valle a capire); sarà che verso la fine, quando Jafar si trasforma prima in un serpente e poi in un genio malefico (che riprende nell’aspetto un demone), l’ho trovato troppo crudo per un pubblico di bambini.

Eppure c’è qualcosa che salva questo film, qualcosa per cui vale la pena vederlo almeno una volta. O meglio qualcuno. Mi riferisco al Genio ovviamente, e per l’esattezza al suo, anzi ai suoi, doppiatori.

Negli anni ’90 si è diffusa la prassi in Italia, in America già si usava, di scegliere personaggi famosi per doppiare alcuni dei personaggi delle pellicole Disney.
 
Per il Genio di Aladdin sia in Usa che in Italia si è scelto l’attore più poliedrico, più fantasioso, più estroso e proprio per questo più adatto al carattere irrefrenabile del Genio. Parlo di Robin Williams, il genio americano dell’improvvisazione (a proposito di geni), e di Gigi Proietti, uno dei pochi in Italia a non fare l’attore, ma ad essere un attore (per citare le stesse parole di Proietti). Due veri professionisti, gli unici in grado di rendere davvero lo spassoso Genio, la vera (l’unica) perla del film.

sabato 21 dicembre 2013

Ad ognuno il suo (film di Natale)




In questi giorni, come ogni anno, il palinsesto televisivo si riempie di film natalizi, dall’ennesima storia con protagonista Babbo Natale agli scadentissimi film-tv (di solito relegati al pomeriggio).

Accanto ci sono i classici del periodo delle feste, film che a volte nemmeno parlano di Natale (o lo fanno molto limitatamente), ma che per la gente – chissà perché – fanno Natale. Parlo di film come Angeli con la pistola (stupendo), Una poltrona per due, o l’immancabile replica di Mamma ho perso l’aereo.

E poi ovviamente i film Disney, da Robin Hood a Zio Paperone alla ricerca della lampada perduta (non ricordo un anno in cui la Rai ne ha saltato la trasmissione).

Il fatto è che tutte queste pellicole contribuiscono a creare quella magica atmosfera. Ognuno di noi è legato ad uno o a più film di Natale, perché gli ricordano l’infanzia o perché hanno un significato che solo noi sappiamo.

Se dovessi scegliere, sono due i film di questo periodo che conservo nel cuore.

Il primo è Una promessa è una promessa, pellicola basata esclusivamente sul ritmo sfrenato e sulle gag, con un insolito Arnold Schwarzenegger alla ricerca del giocattolo introvabile che il figlio gli ha chiesto da un mese, ma che lui non si è ricordato di comprare fino all’ultimo giorno. Non è un capolavoro, ma averlo sempre visto con qualcuno a cui hai voluto molto bene, te lo fa sembrare tale.

Poi c’è Miracolo nella 34° strada, il remake del 1994 con Richard Attenborough. È anche merito di questo film se credo ancora nel Natale e, perché no, anche in Babbo Natale, perché, come scopriamo alla fine del film, come è vero che nessuno può dimostrare l’esistenza di Babbo Natale, nessuno può dimostrare che non esista. Meglio scegliere una verità che fa male e lascia freddo nel cuore, o una piccola bugia che accende la speranza?

Guardate il vostro film di Natale, qualunque esso sia, e cercate di mantenere sempre vivo il bambino che c’è in voi, quella parte così fragile e delicata che vi permette di gustare le cose più belle e più semplici. Come il Natale.

Buon Natale a tutti.

lunedì 16 dicembre 2013

Il lento svanire della commedia d'una volta


 
Due giorni fa si è spento uno degli attori che hanno segnato un’epoca ad Hollywood: Peter O’Toole. Irlandese, cresciuto in Inghilterra, debuttò a teatro, passando al grande schermo nel 1960 con la pellicola della Disney Il ragazzo rapito. Una carriera lunga più di 50 anni, eppure il film con cui è maggiormente identificato è uno dei primi che ha interpretato: Lawrence d’Arabia.

Mi piace ricordarlo citando un film del 1966, una divertente commedia a cui prese parte in coppia con la più elegante lady di Hollywood: Audrey Hepburn. La pellicola in questione è Come rubare un milione di dollari e vivere felici. La storia prende spunto dalle stravaganti abitudini di un simpatico ed anticonvenzionale artista (Hugh Griffith, caratterista a dir poco eccezionale) che è solito falsificare opere d’arte prestigiose per poi venderle ai collezionisti, unicamente per il gusto di riuscire ad ingannarli. Nel momento in cui presta ad un prestigioso museo parigino una delle opere in suo possesso, la Venere di Cellini, stimata un milione di dollari, rischia che le sue truffe vengano scoperte, dato che anche la Venere è un falso e che il museo, volendola assicurare dal rischio di furto, provvederà ad una serie di controlli che finirebbero col constatarne la non autenticità. La figlia (Audrey Hepburn) troverà la soluzione: rubare la statua prima che venga analizzata ed intascare dal museo il risarcimento milionario. Per farlo però ha bisogno di un complice, ed ecco che quando nella notte un uomo (Peter O’Toole) s’introduce in casa sua, lei, scambiandolo per un ladro, coglie l’occasione e gli propone il colpo. Lui in realtà è un poliziotto che sta investigando sul padre della giovane, ma sta al gioco, inizialmente per incastrare l’intera famiglia e poi perché s’innamora della bella complice.

Proprio la commedia romantica vecchio stile, con qualche casto bacio e molti sorrisi, così diversa dalle commedie girate oggigiorno, con un ritmo più serrato e la coppia di turno che finisce a letto prima del decimo minuto di film. Il tipo di commedia che non esiste più e verso cui, quando uno degli interpreti lascia questa terra per i Pascoli del Cielo, non possiamo fare meno di provare un pizzico di nostalgia.