martedì 18 marzo 2014

Quando il cinema premia la tv



Anche quest'anno durante la Notte degli Oscar sono stati premiati alcuni attori con il prestigioso Oscar alla carriera. I fortunati scelti quest’anno dall’Academy sono il comico Steve Martin, e la “signora in giallo” Angela Lansbury.

Martin in Usa è molto apprezzato, oltre che per i suoi film, per le partecipazioni al Saturday Night Live, lo Zelig degli americani. La Lansbury ha interpretato film degni di nota, da Và e uccidi ad Assassinio sul Nilo. Il delitto (basta dare un’occhiata ai titoli dei film) era destinato a far parte della sua carriera, e lo dimostra il fatto che nel 1980 interpreta in Assassinio allo specchio Miss Marple, l’anziana investigatrice ficcanaso nata dalla penna di Agatha Christie che ispirerà il personaggio di Jessica Fletcher. Qualche film più leggero si trova, da Pomi d’ottone e manici di scopa al recente – e al momento ultimo film dell’attrice – I pinguini di mr. Popper, al fianco di “faccia di gomma” Jim Carrey.

Eppure basta scorrere la filmografia della Lansbury per notare come da metà anni Sessanta abbia frequentato sempre meno il cinema, privilegiando televisione e teatro (amore più vivo che mai, dato che ancora oggi, alla veneranda età di 88 anni, calca le scene con un nuovo spettacolo).

Negli anni ’70 quattro film; negli anni ’80 tre. Nel 1984 (l’anno in cui inizia La signora in giallo) abbandona il cinema per più di vent’anni, ritagliandosi solo due camei: in Fantasia 2000 in cui presenta la sequenza L’uccello di fuoco, e in A proposito di Schmidt, in una sequenza in cui si sente solo la sua voce. Torna sul grande schermo con Nanny McPhee – Tata Matilda nel 2005.

Ciononostante viene premiata con l’Oscar alla carriera, riconoscendole bravura e capacità di essere entrata nel cuore, e soprattutto nell’immaginario, del pubblico. Peccato che è innegabile che Angela questo successo lo debba in larga parte a Jessica Fletcher, a dimostrazione che il cinema non deve ignorare – e questa volta non l’ha fatto – l’importanza dei telefilm e della tv.

domenica 9 marzo 2014

Il talento della normalità


 
Gli artisti sono spesso eccentrici, strani, pieni di problemi. Molti di loro hanno combattuto una vita contro alcool e droga. Alcuni non ce l’hanno fatta, come John Belushi o più recentemente Philip Seymour Hoffman. Alcune volte una morte drammatica gli ha consacrati nell’olimpo di Hollywood, come James Dean o Heath Ledger.

Qualcuno li giustificano in nome del loro talento, come se non si potesse essere grandi attori, cantanti, registi, insomma artisti, senza aver bisogno di passare la vita dallo psicanalista o di crogiolarsi tra antidepressivi e droghe.

L’esempio che meglio rappresenta questo discorso è dato dai fratelli Belushi. John è considerato un genio della comicità. Ha girato in tutto 8 film, alcuni entrati nella storie del cinema, da Animal House a The Blues Brothers. La sua carriera è stata stroncata da una dose fatale il 5 marzo 1982.

Il fratello minore James, anche detto Jim, non ha avuto la stessa notorietà. In Italia è conosciuto da pochi, e da molti di questi solo perché il fratello di John Belushi, nonostante abbia interpretato svariati film e telefilm. Protagonista sul grande schermo di Poliziotto a 4 zampe (l’antenato del commissario Rex) e dei suoi sequel, ha partecipato a diversi film-action, come Danko (in cui recita al fianco di Schwarzenegger), ma ha dimostrato di essere molto più portato per la commedia, da Mr. Destiny alla piccola ma divertente partecipazione al folle Una promessa è una promessa (ancora una volta a fianco di Schwarzy). Jim si è dato molto da fare anche in tv, dalle 8 stagioni de La vita secondo Jim, sit-com che raccontava i vizi-virtù dell’uomo medio in cui Belushi Junior si ritrova alla perfezione, a The Defenders, legal-drama che non ha convinto il pubblico americano ed è stato fermato alla prima stagione.

John Belushi è ancora amato e ammirato, fa parte della storia della comicità (piaccia o meno), ha vissuto a mille. Jim Belushi è ritenuto un grande professionista ma – a torto – non un artista, ha interpretato molti ruoli seppur nessuno memorabile, e ha vissuto una vita sicuramente più tranquilla. Ma forse è proprio lui che meriterebbe di essere apprezzato maggiormente, perché è riuscito a vivere una vita serena e gratificante donando allo stesso tempo emozioni allo spettatore.

giovedì 6 marzo 2014

La vendetta va servita fredda (soprattutto ad Hollywood)


 
Essere un divo non è facile. In breve tempo si viene catapultato sotto i riflettori, ammirati e osannati da tutti. Quelli che prima non ti guardavano nemmeno in faccia, ora ti fermano, ti chiedono l’autografo, vogliono fare una foto con te. Ti trattano come un dio. Anche la persona più equilibrata del mondo fatica a non montarsi la testa.

Per le case di produzione, avere a che fare con loro è molto difficile. La loro incostanza, i capricci, le crisi, interrompono le riprese, allungano i tempi di lavorazione e finiscono con l’incidere sul budget del film.

E se c’è una cosa che ad Hollywood non si perdona è proprio il lievitare dei costi di produzione.

Rivalersi su questi divi è quasi impossibile. Il pubblico li ama ed è il pubblico che va al cinema e paga il biglietto.

Ma Hollywood ha lunga memoria e sa aspettare il momento propizio per la vendetta. Anche a costo di comportarsi in modo subdolo e vigliacco.

Nel 2004, Tu chiamami Peter, biografia romanzata di Peter Sellers, viene presentato al Festival di Cannes. Il film racconta il talento, ma soprattutto le nevrosi, i vizi e le ansie di uno dei più grandi comici di sempre.

Non vengono raccontate – se non marginalmente – le invenzioni comiche che Sellers improvvisava sul set. Il trasformismo dell’attore (Peter Sellers improvvisava accenti di ogni tipo, da quello francese ne La pantera Rosa a quello cinese in Invito a cena con delitto, riuscendo a entrare nei panni di chiunque, indipendentemente dall’età e dall’etnia del personaggio) viene accennata all’inizio per poi farla assurgere quasi a disturbo mentale.

Il film si accanisce sull’essere umano Sellers, mostrando le sue insicurezza, la sua paura di fallire, l’abuso di droga e alcool, il ricorso che faceva a santoni e cartomanti cercando quelle conferme che non riusciva a trovare in se stesso. Ma mostra soprattutto l’egoismo e l’egocentrismo di un uomo che lascia morire la madre (l’unica che lo aveva sempre sostenuto e che condivideva con lui una sfrenata ambizione) da sola, troppo preso da sé stesso.

C’è molti di vero in Tu chiamami Peter, c’è anche molto di romanzato, ma c’è soprattutto moltissimo di inopportuno: la voglia di farla pagare al divo Sellers annacquandone il ricordo, raccontando cose a cui Sellers non può più controbattere.

domenica 2 marzo 2014

Grande Puffo contro la droga




Da qualche anno si fa un gran discutere di liberalizzazione delle droghe leggere. Non so dire se servirebbe a disincentivare i ragazzi ad usarla, penso però che impressionare bambini e ragazzi, comunicandoli fin dalla più tenera età quanto la droga sia terribile, possa essere un ottimo disincentivo.

Quando ero piccolo si faceva un gran parlare di droga. Ti mettevano in guardia, ti dipingevano la droga e chi ci aveva a che fare come qualcosa di infido, qualcosa da cui dovevi guardarti attentamente perché non si insinuasse strisciando nella tua vita. La pubblicità progresso che avvertiva dei pericoli che comportava la droga era inquietante. Chi ti droga si spegne, recitava lo spot, con la foto di alcuni ragazzi senza occhi.

Anche la Disney partecipò alla campagna anti-droga, molto attiva tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Insieme ad altre case di produzione, realizzò il mediometraggio I nostri eroi alla riscossa. Il film raccontava la storia di un ragazzo che per comprare marijuana rubava i soldi dal salvadanaio del fratellino. Per salvarlo dalla spirale in cui era precipitato, i personaggi dei cartoni prendono vita. Grande Puffo e Quattrocchi, il gatto Garfield, i chipmunks di Alvin Superstar, escono dalla televisione e dai fumetti per risolvere il problema.

L’intuizione geniale era utilizzare personaggi tanto cari ai bambini e il risultato è una pellicola con protagonisti i miti degli anni ’80 per under 12. Ed ecco la tartaruga ninja Michelangelo rimproverare il protagonista per le sue scelte sbagliate, Qui, Quo e Qua insegnarli a dire di no a chi offre droga, i Muppet illustrare gli effetti che ha la droga sul nostro cervello.

Insomma, puntando su personaggi che i bambini vivono come amici, si cercò di metterli in guardia dal pericolo. Non so quanto abbia funzionato per gli altri, ma questo film e le altre campagne hanno instillato in me un’enorme paura della droga, e se anche la paura non è mai una buona consigliera, in questo caso mi ha aiutato a starne alla larga.