martedì 29 aprile 2014

La Cina ci teme



Gli esperti d’economia assicurano che in un futuro non molto lontano la Cina sarà il centro economico del pianeta. È indubbio che competitivamente il paese degli involtini primavera ha vita facile: produce di tutto a basso costo, conquista ogni mercato riuscendo ad essere competitivo vendendo al prezzo minore, paga i lavoratori un pugno di riso. Logica vuole che dovremmo temerli. E non perché sposteranno l’asse economico ad Oriente, ma perché il paese più ricco detta le regole e – per quanto gli Stati Uniti abbiamo mille difetti – sono certo che le nuove regole non ci piaceranno, incoraggiando le disuguaglianze, le ingiustizie e lo sfruttamento.

Eppure sembrano loro ad avere più paura di noi. È notizia di questi giorni che le autorità cinesi hanno ordinato la rimozione dal web di quattro serie tv americane: The Good Wife, Ncis, The Practice e The Big Bang Theory. Il motivo di tale decisione non è stato reso noto, ma molti sospettano che ci sia dietro la volontà di riprendere il monopolio della televisione. In Cina non esiste altra emittente oltre alla rete nazionale, ma i cittadini possono usufruire di internet per vedere in streaming telefilm e film che non vengono trasmessi dal loro unico canale. E dato che sempre meno giovani cinesi guardano la tv, attratti dai telefilm che trovano in rete, eliminare queste alternative è il modo migliore per ricondurli nell’ovile della vecchia, cara, tv di Stato, mezzo utilissimo per controllare e plasmare l’opinione pubblica.

I telefilm statunitensi rappresentano il modello di libertà, ricchezza e giustizia che gli Usa vorrebbero essere (e non sempre sono). Un modello a cui ogni essere umano vorrebbe tendere, uno stile di vita che ha un fascino innegabile. Ceausescu negli anni ’80 incoraggiò la messa in onda di Dallas, credendo che sarebbe servito a far capire ai rumeni quanto gli americani fossero corrotti, avidi e senza scrupoli. Il risultato fu che i rumeni si innamorarono a tal punto del modello americano da far naufragare il regime del dittatore.

The Big Bang Theory non sarà paragonabile a Dallas, ma forse la paura del governo cinese non è così infondata.

lunedì 28 aprile 2014

Chi è che non regge la verità?



Ci sono categorie a cui è richiesta più obbedienza che intelligenza. Oltre ai sacerdoti – che fanno voto d’obbedienza – sono soprattutto i militari coloro che devono obbedire senza batter ciglio, senza mettere in discussione la ragionevolezza e il senso del ordine. Disciplina, è questa la prima qualità (qualità?) del soldato.

Tra i più che trattano meglio l’argomento c’è certamente Codice d’onore.

La storia parte dall’omicidio di un marines nella base di Guantanamo (non ancora resa celebre delle torture e dalle violenze post 11 settembre). I colpevoli sono due commilitoni che stavano punendo piuttosto rudemente il ragazzo. La loro difesa è quella di aver eseguito un ordine dato da un superiore, Kiefer Sutherland, ordine che lui ovviamente nega di aver dato. L’avvocato della difesa Tom Cruise, convinto dalla collega Demi Moore, rifiuta di patteggiare, deciso a dimostrare l’innocenza dei due soldati. Non impiegherà molto a capire che lo stesso Sutherland aveva dato l’ordine obbedendo alla volontà del suo superiore, il colonnello Jack Nicholson.

Oltre il dramma giudiziario, oltre la tensione, oltre alla consueta e sempre magnifica prova di Nicholson che pur apparendo in solo tre scene riesce a “rubare” il film al protagonista Cruise, la pellicola punta il dito sui limiti che dovrebbe avere la disciplina. Chi non resiste, chi non ce la fa, chi non è in grado di essere un ottimo marines, deve essere punito. Nella sua follia, Nicholson crede di far del bene, perché solo modellando uomini come quelli che vuole potrà salvare la Nazione. E in quest’ottica, la vita di un povero ragazzo è un irrisorio prezzo da pagare.

Tom Cruise comprende che gli esaltati come lui sono fieri delle loro azioni, convinti di portare in sé la verità, e lo spinge ad ammettere di aver dato l’ordine di punizione in aula. Sempre convinto d’aver agito bene, a chi non approva i suoi metodi Nicholson risponde che sono necessari e che se non lo capisci Non sei in grado di reggere la verità. Ma quello che fa progredire il mondo sono l’intelligenza, il coraggio, la voglia di osare. L’esatto contrario della disciplina insomma. E forse è questa la verità che molti dei comandanti dei vari eserciti che Nicholson rappresenta così bene, non sono in grado di reggere.
 
 

giovedì 17 aprile 2014

E a Pasqua?



Tra pochi giorni sarà Pasqua e pensando a un post per l’occasione mi sono reso conto che non esistono o quasi film dedicati a questa festa. L’unica pellicola che mi è venuta in mente è Hop, un live-action con protagonista il figlio del Coniglio Pasquale (la versione pasquale di Babbo Natale, molto meno celebre del collega in rosso) che, ambendo a diventare un famoso batterista e non volendo portare avanti l’azienda di famiglia, scappa dall’isola di Pasqua alla volta di Los Angeles, la città dalle mille occasioni. Qui conosce Fred (James Marsden), ottimista sognatore (disoccupato, come tutti gli ottimisti sognatori). Le loro storie si intrecciano e, aiutandosi a vicenda, entrambi realizzano i propri sogni: il coniglio suona per David Hasselhoff (l’ex star di Baywatch e Supercar, oggi impegnato in comparsate strapagate in cui interpreta se stesso) e Fred diventa assistente del Coniglio Pasquale. Seppur carino, il film non è certo indimenticabile e le uniche cose che restano nella memoria alla fine della visione sono (oltre la pessima figura di Hasselhoff) l’agguerrito pulcino ribelle che vuole spodestare il Coniglio Pasquale per diventare il nuovo simbolo della Pasqua (se fosse stato un film natalizio, sarebbe stato un elfo che vuole destituire Santa Claus) e la presenza di Kaley Cuoco (Penny di The Big Bang Theory) nel cast, nel ruolo della sorella di Fred.

Se escludiamo film religiosi come La passione di Cristo o Il re dei re, praticamente non esistono altri film sulla Pasqua.

Ci sono più di un centinaio di film sul Natale, qualcuno che parla di San Valentino come Appuntamento con l’amore, esistono perfino film dedicati a Capodanno (Capodanno a New York) e al Ringraziamento (il cartoon Free Birds – Tacchini in fuga). Per Pasqua poco e niente, tanto che alcuni anni è stato trasmesso come “film festivo” Il piccolo Lord che nella parte finale è ambientato a Natale. Oltre al danno, anche la beffa.

domenica 13 aprile 2014

Il volto del romanticismo


La commedia sentimentale evolve, come tutti i generi. Film che funzionavano negli anni ’70, già il decennio successivo non vanno. Cambiano le mode, ma soprattutto cambia la sensibilità del pubblico e di conseguenza il modo di raccontare una storia.

La commedia romantica ha vissuto negli anni ’60 e nei ’90 due periodi di massimo splendore. I film prodotti in questi decenni sono molto diversi tra di loro. Siamo passati dalla classe di Cary Grant all’apparenza trasandata di Hugh Grant (che in comune hanno solo il cognome), dall’innocente casalinga Doris Day alla sexy-donna impegnata Katherine Heigl, dal bacio di Casablanca al finire subito a letto di Prima ti sposo poi ti rovino.

La regina incontrastata del secondo decennio è senza dubbio Julia Roberts. Pur avendo partecipato anche a film di tutt’altro genere, dal fantastico Hook – Capitan Uncino al thriller Il rapporto Pellican, sono i film d’amore ad averla consegnata all’Olimpo di Hollywood, tanto da essere definita la “fidanzata d’America”.

Attrice strapagata e con il secondo sorriso più ampio della storia del cinema (il primo è quello del Joker di Jack Nicholson), ha avuto la fortuna di recitare con mostri sacri come Woody Allen, Susan Sarandon e Richard Gere. Tra i suoi maggiori successi, oltre al sempreverde Pretty woman, Qualcosa di cui sparlare, Il matrimonio del mio migliore amico, Se scappi ti sposo e molti altri.

Dal 2000 in poi, complice un periodo sabbatico di tre anni che ha deciso di concedersi dopo la nascita dei suoi gemellini, si sono diradati i ruoli e i successi al botteghino. Abbandonata la commedia, la sua carriera è virata verso il drammatico, con La guerra privata di Charlie Wilson, Un segreto tra di noi e il thriller spionistico Duplicity. Le incursioni nel cinema romantico si sono diradate: le uniche negli ultimi anni sono il film corale Appuntamento con l’amore e L’amore all’improvviso con Tom Hanks. Del resto l’età avanza per tutti, anche per la fidanzata d’America.

lunedì 7 aprile 2014

Che fine ha fatto l'italiano?


 
Si sente spesso parlare della necessità di difendere la nostra lingua dalla valanga di parole straniere che sempre più fanno capolino nel nostro gergo. Parole inglesi per lo più.

Molte ruotano attorno alle discipline economiche, e dato che l’inglese è la lingua degli affari, diventa naturale parlare di spread (misteriosa entità che nessuno ha ancora ben compreso cosa sia ma di cui tutti siamo stufi di sentir parlare), di brand, di business. Ci sono parole che è logico importare perché sono il nome proprio di qualcosa che magari nel nostro Paese prima non esisteva. Negli Usa la pasta la chiamano pasta, ed è logico che noi non traduciamo la parola hamburger, il vocabolo tennis, il sostantivo omelette. Ma che bisogno c’è di chiamare il montepremi del superenalotto jackpot? Perché usare magazine anziché rivista? Dove nasce la necessità di sostituire la locuzione alla moda con trendy?

Questa tendenza non risparmia nemmeno il mondo del cinema e sono sempre di più i film che si presentano al pubblico italiano con il titolo originale anziché tradotto. Certo, non mancano i casi in cui il titolo italiano nulla ha a che vedere con quello originale, come Airplane (semplicemente aereo) che diventa L’aereo più pazzo del mondo (ma ammettiamolo, il “nostro” titolo è molto più adatto) o Home alone (letteralmente Solo a casa) che altro non è che Mamma ho perso l’aereo. Concordo anche sul fatto che certi titoli non si possono tradurre, come Closer con Julia Roberts (Più vicino nun se pò sentì) o Twilight (se lo intitolavano Crepuscolo, nessuno sarebbe andato a vederlo).

Il fatto è che oggi si evita di tradurre anche titoli che in italiano suonerebbero molto bene ed avrebbero la loro dignità. Qualche anno fa quantomeno si accompagnava al titolo in inglese il sottotitolo che ne chiariva il significato, come DirtyDancing – Balli proibiti o Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills. Oggi si presume (e si pretende) che tutti sappiano l’inglese, ed ecco che ci ritroviamo The face of love, The butler e The last station. Possibile che intitolandoli Il volto dell’amore, Il maggiordomo e L’ultima stazione non avrebbero avuto comunque successo?

sabato 5 aprile 2014

Il glaciale gentiluomo



Ci sono attori che incarnano a meraviglia il ruolo del maledetto, il personaggio pericoloso e inquietante, quello di cui diffidare, nonostante cerchi di apparire come una persona normale.

Uno degli attori più bravi in questo tipo di ruoli è Christopher Walken. Alto, biondo, occhi azzurri. Sulla carta l’eroe perfetto. C’è qualcosa però nel suo viso che fa diventare quei tratti pericolosi. Se Jack Nicholson è maestro nel uso del sopracciglio e nello sfoggiare il ghigno più minaccioso di Hollywood, Walken fonda la sua pericolosità sulla dualità che contraddistingue i suoi personaggi. E del resto non c’è niente di più spaventoso di qualcuno che all’apparenza si manifesta come innocente, per bene, rassicurante, ma che nasconde nel suo sguardo una calma, una freddezza, che è solo dei malvagi. Walken è ambiguo, sinistro, fintamente rassicurante. Si presenta sempre come un uomo a modo, uno di cui ti puoi fidare - come in Cortesie per gli ospiti – per poi svelare la sua vera, infida e terribile, natura.

Tra i tanti attori feticcio di Tim Burton, da vita con lui a Max Shreck, l’industriale corruttore di Batman – Il ritorno, l’unico personaggio totalmente negativo della pellicola, senza alcuna giustificazione per quello che fa (come invece è per Batman, Catwoman e il Pinguino).

Interprete anche dell’antagonista di James Bond in 007 Bersaglio mobile, Walken si è prestato spesso alla commedia, come in Sbucato dal passato e Due single a nozze, donando comunque un’aurea inquietante ai personaggi interpretati. Peculiare in questo il suo ruolo in Cambia la tua vita con un click. Il film parte come la classica commediola per famiglie, con Adam Sandler che viene in possesso di un telecomando che gli permette di accelerare e saltare parti della sua vita, esattamente uguale a quello dei nostri lettori dvd. A darglielo è Walken, commesso di un grande magazzino. Dopo non molto tempo Sandler si rende conto che ha gettato via quasi tutta la vita, saltando le parti che non riteneva interessanti ma che sono dopotutto il succo dell’esistenza, fatta di quotidianità piuttosto che di giorni speciali. Ed è a questo punto che Walken si palesa per quello che è, ovvero La Morte. Perché con Christopher Walken non c’è mai da stare tranquilli.

venerdì 4 aprile 2014

I dimenticati



Ci sono film che sono evergreen, trasmessi quasi ogni anno in prima serata e sempre con buoni ascolti, da Pretty woman a Mamma ho perso l’aereo, passando per Infelici e contenti o Ricky e Barabba. Ci sono altri film che sembrano essere scomparsi, trasmessi ormai ogni morte di Papa e in orari assurdi. Quel che è paradossale è che si tratta di film che per almeno un decennio continuavano ad essere replicati più volte l’anno in prime time. Sembravano destinati a resistere ed esistere perennemente nei nostri palinsesti. Invece ormai sono relegati alla nostra memoria, di figli degli anni ’80. Se ne sono andati lentamente, iniziando ad essere trasmessi non più alla sera ma il sabato pomeriggio o la domenica mattina. Ti sedevi a tavola pochi minuti prima delle 13 e ti vedevi i dieci minuti finale della pellicola, pensando che era la terza volta dall’inizio dell’anno che avevano riservato la mattinata festiva a Sua maestà viene da Las Vegas.

La maggior parte di questi film è stata prodotta negli anni ’80 o a inizio anni ’90. Si respira un America che non esiste più, meno cinica, più ingenua, frenetica ma con un cuore (che cercava di nascondere, mostrandosi attenta solo alla scalata sociale e alle quotazioni di borsa). È l’America di Michael J. Fox, da Amore con interessi a Caro zio Joe, dei Ghostbuster, di Week-end col morto.

Tra i film maggiormente inflazionati in quel periodo, c’è sicuramente Non guardarmi non ti sento. L’idea di mettere assieme un cieco e un sordo che si completano a vicenda superando le rispettive disabilità funzionò soprattutto grazie all’affiatamento dei due interpreti: Richard Pryor (ancora oggi ricordato in America come uno dei più grandi comici di sempre) e Gene Wilder, passato alla storia per Frankenstein Junior. Trama che fila senza intoppi, gag ed equivoci a ripetizione, la pellicola rimane un must di Canale 5 per tutti gli anni ’90, finendo quasi con scomparire dal palinsesto negli ultimi dieci anni. Come tanti film, destinato a vivere nel ricordo della generazione che l’ha visto e rivisto (e amato).