sabato 28 giugno 2014

È la Tv la nuova scena del delitto


Il cinema ha contribuito a diffondere e a modificare il genere giallo (nato dalla penna di Arthur Conan Doyle) vertendo più sul thriller. Il Maestro assoluto della suspense era Alfred Hitchcock, e suoi sono alcuni dei gialli più intriganti mai girati, da Marine a La donna che visse due volte.

Da una trentina d’anni, il genere giallo è diventato una delle colonne portanti della televisione. La maggior parte dei telefilm ruota attorno ad omicidi ed indagini, dal classico Colombo al teutonico ispettore Derrick, dallo spensierato Un detective in corsia al crudo e realistico Csi.

Certo il cinema può vantare una maggiore ricchezza di mezzi, ma le storie narrate nei vari Ellery Queen, Quincy, Matlock, hanno addirittura superato la qualità di quelle cinematografiche. Perché con la pratica il risultato migliora e la tv si occupa di gialli da talmente tanto tempo da esserne diventata maestra.

Prendiamo come esempio il film Suspect – Presunto colpevole. Un senzatetto sordomuto (Liam Neeson) viene accusato di omicidio. Il procuratore sostiene che abbia ucciso una donna solo per rubarle i nove dollari che conteneva la sua borsetta. Per l’avvocato d’ufficio (Cher) non sarà facile dimostrare l’innocenza dell’imputato e a complicare il suo lavoro ci si metterà anche uno dei giurati (Dennis Quaid) che, convinto della non colpevolezza del senzatetto, interferirà con le sue indagini, rischiando la pelle di entrambi, oltre che di invalidare il processo.

Il colpevole è insospettabile (ed io, ovviamente, non vi dirò di chi si tratta), ma non per chi ha visto ore e ore di Perry Mason e de La signora in giallo. Non sai perché ma sospetti di lui, forse proprio perché è l’unico che non dovresti prendere in considerazione per la soluzione del caso. Perché l’overdose di gialli che la televisione ci ha imposto ci ha lasciato alcuni insegnamenti fondamentali: se una sola persona ha un alibi inattaccabile, quella è l’assassino; se muore un gemello, è stato ucciso dal fratello che ha preso la sua identità; se il cadavere di un defunto viene identificato solo per qualche oggetto esterno come un anello, colui che la polizia ritiene sia morto è in realtà l’assassino che ha ucciso un poveraccio per farsi passare per defunto. E poi si dice che la televisione non insegna niente.

sabato 21 giugno 2014

La voce della supponenza


 
Elogiamo sempre – e con ragione – l’interpretazione di grandi attori stranieri come Robert De Niro, Hugh Grant o Robin Williams, ma spesso dimentichiamo che metà del lavoro viene fatto – o meglio rifatto – nel doppiaggio. I nostri doppiatori sono considerati tra i migliori al mondo e alcuni attori hanno riconosciuto che le loro voci italiane hanno addirittura migliorato la loro performance, su tutti Woody Allen, fan del suo defunto doppiatore Oreste Lionello.

Alcuni doppiatori hanno raggiunto una discreta fama, come Tonino Accolla – anche lui scomparso – voce di Homer Simpson e autore della versione italiana della debordante risata di Eddie Murphy.

La maggior parte però è una serie di anonimi nomi. Come Renato Mori, Roberto Pedicini, Giuseppe Rinaldi. Rispettivamente le voci di Morgan Freeman, Jim Carry e Marlon Brando.

L’abilità del doppiatore consiste nel saper adattare la voce ai diversi ruoli e ai diversi attori, eppure a volte c’è qualcosa in comune tra i personaggi a cui finisce col dar una seconda vita. Un perfetto esempio è il doppiaggio fatto da Oliviero Dinelli di Rowan Atkinson – divenuto celebre per la macchietta Mister Bean – in Johnny English. Il film è una parodia dei vari 007 ma il punto di forza della pellicola è che il protagonista interpretato da Atkinson – promosso dal lavoro d’ufficio ad agente segreto dopo che in un attentato sono stati uccisi tutti gli agenti segreti – è un idiota che si crede un genio. E dallo scarto tra la realtà e l’immagine che il protagonista ha di sé che nasce il divertimento, un po’ come accadeva con l’ispettore Clouseau di Peter Sellers ne La pantera rosa.

Dinelli rende al massimo l’arroganza e la supponenza dell’agente Johnny English, riportando alla memoria uno dei primi personaggi che aveva doppiato. Sto parlando di Darkwing Duck, protagonista dell’omonimo cartone animato Disney. Darkwing è un supereroe fai-da-te: tronfio e pieno di sé, si crede un invincibile combattente del crimine mentre fa più disastri di Leslie Nielsen nei panni dell’agente Drebin in Una pallottola spuntata. Lo stesso spirito che più di dieci anni dopo Dinelli infonde in Johnny English. Un papero e un essere umano, un presunto supereroe e una presunta spia, uniti dalla stessa smania di protagonismo. E dalla stessa voce.